Gare de l’Est.
Dall’alta volta di vetro e metallopiove grigia la luce di un’ora imprecisa,
fradicia di pioggia.
Sulla banchina fra nuvole di bianco vapore,
il capostazione ha estratto l’orologio
e con cipiglio attento controlla l’istante.
Sbuffa la locomotiva
incandescente di infuocato carbone.
Luccica di sudore la pelle scura dei fuochisti.
Il macchinista è pronto,
impareggiabile auriga del lungo serpente alato
che volerà fino alle cupole d’oro
della magica Costantinopoli.
Via vai di facchini, venditori ambulanti,
voci e saluti, abbracci e sorrisi.
La bella viaggiatrice sta per salire in carrozza.
L’aspetta un sogno color crema e marron glacé,
fatto di specchi e volute in foglia d’oro,
e la luce soffusa delle abat-jour.
Assaporerà il piacere di raffinate pietanze,
incontri imprevisti,
conversazioni interessanti,
intrighi internazionali.
E intanto, nella cornice in fuga dei finestrini,
città, fiumi, boschi, montagne e pianure
correranno all’indietro,
risucchiati nel gorgo veloce di quel che è passato.
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